Se vedi un film che rasenta la perfezione come l’ultimo di Clint Eastwood, Giurato numero 2, ne devi parlare, scrivere subito. Non puoi non farlo. Non è la trama, impeccabile, non sono gli attori, splendidi, non è il regista, supremo. È il tema, non uno ma il. Ciò per cui se si vuole dare un senso alla propria vita prima o poi chiunque si deve interrogare, quel bivio psicologico e misterioso che a tratti si incrocia lungo la propria strada, ma che alcune volte ha la potenza di un finale, anche se non sai se veramente lo sia. Ci si interroga, come fa il giurato numero 2, dire o non dire la verità, preoccuparsi per la propria carriera come in parte fa la procuratrice o andare fino in fondo rispetto a ciò che si intuisce. È nella banalità del quotidiano che si incrociano i dilemmi morali, ed è lì che tornano e ritornano i nostri fantasmi rimossi. È lì la sfida per la nostra psiche, è lì che si sente se tiene, ed è ancora lì che si sceglie dove guardare: personalmente sempre “al cielo stellato sopra di me e alla legge morale dentro di me”.