E’ vero rispetto al passato il nostro bagaglio conoscitivo sulla clinica e la sanità in generale è aumentato di molto, conosciamo miriadi di malattie, quelle del nostro corpo, della società e le più profonde psicosi della nostra mente, ma obiettivamente non ci conosciamo se non attraverso un’immutabile e fragile immagine che ostinatamente difendiamo, non cogliamo noi stessi come spirito, non ci sentiamo come esseri in divenire, non ci percepiamo, insomma non siamo in contatto con noi stessi, non respiriamo il soffio di spirito che ci accompagna sin dalla nascita; è forse questa la malattia dei nostri tempi? La mancanza di spiritualità? La mancanza del dubbio? Del Perché?.
La nostra vita è continuamente scandita dai pensieri ma raramente o quasi mai li accogliamo o li curiamo, ci rifuggiamo continuamente nelle nostre idee abituali, nelle nostre certezze e le lasciamo lì come colonne, come direttive imprescindibili, non vanno criticate o messe in discussione, ci affidiamo ad esse perché altrimenti significherebbe allontanarsi da una zona di conforto, desideriamo ma non rischiamo.
Quello che ci manca è una spiritualità che insegua la ricerca di un bello possibile, una spiritualità critica, che accetti il dubbio e la crisi e non a caso quest’ultima parola deriva dal greco Krìsis //κρίσις scelta decisione, una crisi che non va vista come un momento di debolezza o mancanza, ma come un lampo, un “intuito di vita”, di presa di posizione e di piena unione con noi stessi, è la presa di posizione da cui ci si può lanciare verso il nuovo; d’altronde lo stesso Erikson nella crisi vedeva il tentativo di superare la confusione per lasciare spazio alla propria identità.
“Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme”.
(Dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, in particolare dall’epitaffio di George Gray.)