Sicuramente in quest’ultimo mese è quasi impossibile per tutti non pensare alla guerra o non parlarne, e questo accade soprattutto all’interno delle famiglie con dei bambini. Si può spiegare la guerra? E’ giusto parlarne?
Queste righe non vogliono essere il solito vademecum o un piccolo manuale per il genitore perfetto, non è mio intento nè in mio potere, e penso non sia in potere di nessuno, ma vuole essere un semplice pensiero che accompagna altri pensieri.
Quello che è importante è sicuramente non cronicizzare l’informazione e il flusso d’ immagini che si perdono nell’etere ma rimangono nella mente dei più piccoli senza una spiegazione, senza un nome.
Da adulti non bisogna sentire il senso di colpa della verità nei confronti dei figli, ma occorre assumersi il coraggio della spiegazione, assumersi l’onere di essere i rappresentanti di una generazione adulta che fondamentalmente ha fallito e sta sbagliando. Bisogna avere la forza di accettare l’ansia che questa guerra genera nei più piccoli, avere la capacità di guardarla in faccia accompagnando il loro sguardo per riconoscerne insieme la brutalità e la disumanità e da lì, da queste macerie del senso umano, non provare un senso di resa passiva ma invitarli al miglioramento, ascoltare le loro opinioni e le loro sane utopie, domandare i loro pareri o accompagnare i loro pensieri con film, libri ecc…
D’altronde a partire dalla guerra è poi facile parlare di un altro concetto altrettanto importante: la pace.
Così dopo le immagini degli orrori arrivano le parole, arriva il momento di verbalizzare il dolore, in modo che non divenga un trauma fermo nel tempo, ma nonostante la sua drammaticità diventi un’esperienza, una conoscenza. Personalmente ogni volta che sento la mia repulsione verso la guerra il primo pensiero inconscio che mi viene in mente nell’album delle esperienze sono i discorsi con mio padre; sicuramente non erano intrisi di concetti geopolitici o ideologici ma erano le prime idee sulla guerra fortunatamente accompagnate dall’affetto di un adulto, non perfetto, ma comunque erano delle parole accompagnate. Questo accade perché ancor prima delle spiegazioni concettuali nei nostri pensieri più primordiali ci guidano le idee familiari, quelle che sanno di emozioni e affetto.
Perciò senza ricercare la giusta soluzione o l’algoritmo del discorso del genitore perfetto, è forse importante non nascondere o dissimulare la realtà per non favorire un senso di smarrimento e passività nei più piccoli, ma parlare della verità della guerra che è tutto fuorchè spettacolare, magari ricollegandoci alla nostra quotidianità rispetto a chi una quotidianità non c’è l’ha più. Forse quello che bisogna fare rispetto alla disumanità delle immagini è contrastarle con un senso vero e familiare di realtà che può arrivare solo dalle persone di cui ti fidi ciecamente …. i tuoi genitori.