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Una scuola come bene comune, un luogo fantastico ma reale in cui…

 

Cos’è la scuola se non il luogo per eccellenza dell’Inclusione, sembra la solita frase inflazionata di mille manuali pedagogici, ma aldilà di ogni retorica e “insicurezza” di pensiero, è veramente così.

La scuola dopo il lockdown e la didattica a distanza sembra sia diventata un malato convalescente che con fatica cerca di riprendersi dalla sua infermità, come se avesse perso o non ricordasse il cardine fondamentale della sua identità: la comunità.

Oggi come non mai tutta la scuola e in generale la società è orfana di un’identità comune, ma non nel senso tirannico o totalitaristico del termine, ma nel senso di collettività e cittadinanza.

L’individuo conduce una vita iper-individuale ma priva di autenticità, è ossessionato dai social network e dal loro riconoscimento, si annullano le distanze ma si creano dei “non-luoghi”, si hanno mille contatti e amicizie ma non si hanno più relazioni; in un passato neanche troppo lontano paradossalmente si conduceva una vita più comunitaria ma individualmente più autentica e la scuola rappresentava il primo gradino se non l’intera scala della società.

L’identità è reale solo con il riconoscimento ed accettazione dell’Altro, Altro visto sia come soggetto che come oggetto, Io sono tale perché diverso e per riconoscermi ho bisogno che qualcuno me lo ricordi.

La mia diversità è la mia identità, e per essere tale dev’essere riconosciuta e non rifiutata o guardata con indifferenza, ti devo riconoscere per riconoscermi e viceversa; la mia identità, la sua felicità ed espressione vengono incluse nel Noi, che non rappresenta un flusso monotono e privo di significato ma un’opera i cui singoli elementi si riconoscono nel confronto; come si può creare una comunità se non esiste un Io autentico? Un Io capace di parlare con le sue e con le altre diversità?

Oggi come non mai c’è bisogno di una scuola come bene comune, un luogo fantastico ma reale in cui potersi mescolare e riconoscersi …..appunto conoscere se stessi e gli altri.

<< Perché non sei a scuola? Ti vedo in giro ogni giorno.>>

«Oh, non sentono la mia mancanza» confessò Clarisse. «Sono un po’ asociale, non mi piace mescolarmi. È strano perché in fondo la società m’interessa, ma tutto dipende da cosa s’intende per stare insieme, non credi? Per me significa parlare con persone come te di certe cose.» […]. «O discutere su com’è strano il mondo. Essere insieme a qualcuno è bello, ma mettere insieme un mucchio di persone e non farle parlare seriamente non è sociale, ti sembra?

Un’ora di lezioni TV, un’ora di basket, baseball o corsa, un’altra ora a trascrivere storia o a dipingere, poi magari altro sport: ma nessuno fa domande, o almeno la maggior parte non ne fa; ci danno soltanto le risposte, bing, bing, bing, e noi ci sorbiamo quattro ore di tele-insegnamento. Per me questa non è società: è una serie di tubi dove l’acqua entra da una parte ed esce dall’altra. Loro dicono che è vino ma non è vero, E alla fine della giornata ci hanno sfiancato a tal punto che non possiamo fare altro che andare a letto…….

( Fahrenheit 451. Ray Bradbury).

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